martedì 28 aprile 2015

Non facciamo di tutto l'acol un fascio - Quale carne vogliamo? - Il 25 aprile non è una festa come le altre!

Non facciamo di tutto l'acol un fascio

Vino = alcolismo 

Questa pare essere l’equazione adottata recentemente dai ministri europei della salute. Lunedì 19 aprile, infatti, in Lettonia si è tenuta un’importante riunione dei vari rappresentanti continentali per discutere degli alcolici e della loro etichettatura.

Si è deciso in modo unilaterale di aumentare le accise sugli alcolici, ovvero le imposte di consumo prelevate al produttore, perché in questo momento si considera essenziale la leva fiscale. Anche altri Paesi si sono dichiarati favorevoli a questa linea, che mira a risolvere i problemi legati agli alcolici alzandone forzosamente il prezzo.

Un altro punto che è stato affrontato è l’inserimento dei valori nutrizionali sull'etichetta degli alcolici. La proposta a cui si sta lavorando riguarda la possibilità di evidenziare l’alto contenuto di calorie, ma su questo punto non si è ancora certi della linea da adottare (forse hanno paura di dichiarare che non contengono grassi?). 

È evidente che in questo momento la piaga dell’alcolismo è affrontata con la coercizione e la tassazione. La via più costruttiva, quella che passa attraverso l’educazione (in primo luogo quella scolastica), non è vista come praticabile.

Spesso, come nel recente documento del Cnapa (Comitato per le Politiche e le Azioni Nazionali in Materia di Alcol), nemmeno si distingue fra superalcolici, birra o vino: tutto uguale e tutto ugualmente dannoso.
Tra l’altro, se saranno penalizzate le bevande con maggiore contenuto di alcol, il vino rischia grosso, perché per birra e spirits il tasso alcolemico si può abbassare con semplici processi industriali, mentre per il vino questo non è evidentemente possibile. È una piega pericolosa che 

rischia di danneggiare anche le produzioni di assoluta eccellenza qualitativa e dunque riguarda da vicino anche l’Italia.


Quale carne vogliamo?

Complice l’Expo, Report ha inaugurato domenica una nuova rubrica dedicata a cibo e alimentazione a cura di Sabrina Giannini. Per essere precisi, la rubrica intitolata «Nutrire il Pianeta» si occupa di sicurezza alimentare, in particolare Gabanelli ci propone: 
«Sei approfondimenti sull’etichettatura, o sui falsi slogan del Made in Italy o quello “del cibo italiano migliore”, utilizzati spesso a vantaggio di coloro che invece stanno distruggendo le eccellenze e le tipicità di interi settori agroalimentari. Stiamo parlando degli stessi grandi gruppi dell’agrobusiness ai quali i nostri politici hanno offerto le vetrine dell’Expo solo perché si fregiano del terzo brand più famoso al mondo, quello del Made in Italy appunto. La palla ormai è in mano soltanto a noi consumatori, che scegliendo, possiamo salvare le vere eccellenze e la nostra biodiversità, e originare e alimentare un sistema virtuoso che possa “nutrire il pianeta” nel rispetto anche degli animali e delle risorse. Però dobbiamo sapere ciò che spesso ci viene volutamente e sapientemente occultato». 
E sicuro, siamo a primi a spronarvi a conoscere il vostro cibo per fare scelte dettate dalla vostra e non dalle esigenze di mercato. Eppure, come nel caso dei biologico, non sarebbe stato male avere, oltre la denuncia, la proposta.

Ieri si è parlato di carne, di allevamenti intensivi, di come i vitelli vengano dopati per ottenere carni bianche, magre e comunque conformi ai desideri del mercato (e la prima domanda ci viene è: ma come si fa a pensare che la carne di vitello sia bianca?), e di vitelli fatti “rinvenire” con anabolizzanti e altre schifezze, e dei conseguenti ai pericoli per noi consumatori. Il tutto a partire da un’inchiesta aperta dalla magistratura di Cuneo senza la quale «Oggi le carni dopate di migliaia di vitelli sarebbero finiti sulle tavole». 
Onore a Report che porta all’attenzione argomenti ostici, e spesso taciuti. E naturalmente non può che non farci piacere che si parli di cibo, allevamenti e sicurezza alimentare. 
Vi invitiamo perciò a rivedervi il servizio che trovate a questo link.

Ma non possiamo non aggiungere qualche suggerimento su quale carne scegliere (sempre meglio poca ma buona) e ricordarvi che sta a noi consumatori orientare il mercato
Non dimenticate i nostri consigli per un consumo di carne consapevole, che sia buona, pulita e giusta. Per mettere a vostra disposizione tutte le informazioni sull’argomento abbiamo una dedicato una bella sezione su slowfood.it e da poco pubblicato on line il sito della nostra campagna Slow Meat.


Il 25 aprile non è una festa come le altre!
l’Italia festeggia l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo e dalla guerra; settanta anni sono il tempo di tre generazioni e purtroppo sono ben pochi i testimoni di quei giorni ancora in vita.
Ci restano i filmati repertorio, i documenti, le cerimonie di commemorazione un po’ ingessate nello story- board della “festa nazionale”. Eppure il 25 aprile non è una festa come le altre. Perché, contrariamente ad altre date patriottiche, fissate a imperitura memoria sulle targhe delle principali vie di ogni comune italiano, il giorno della Liberazione è un giorno-simbolo il cui significato profondo è presente ancora, instancabile e cocciuto, in tanti luoghi del nostro Paese.

In montagna, tra le comunità che la vivono ritroviamo ancora vivi e saldamente attuali i valori della Resistenza. È stata allora il luogo della guerra partigiana, riparo e rifugio di migliaia di combattenti, di sfollati dalle città bombardate, di esuli e perseguitati. I contadini della montagna, ma soprattutto le donne dei casali arroccati sui crinali e delle cascine sparse nelle vallate, hanno accolto, sfamato, nascosto, a rischio della propria stessa vita. E in migliaia, in Alpi e in Appennino, la vita l’hanno persa nelle rappresaglie che hanno sterminato gli abitanti e raso al suolo interi borghi; per decenni questi drammatici episodi sono rimasti retaggio e memoria soltanto di coloro che caparbiamente restarono a vivere in quei luoghi. Insieme a molto altro.

È rimasta la consapevolezza che vivere e lavorare in montagna significa difendere la terra, ma anche l’acqua, e l’aria e l’equilibrio tra le creature viventi, perché tutto ciò è bene comune, di chi vive in montagna e di chi sta altrove. 
È rimasto il rispetto per la memoria e per le sapienze tramandate con pazienza e utili, allora come ora, a comprendere quando, come e cosa fare a lavoro e nel privato. È rimasto un senso di appartenenza e un’identità territoriale che travalica i confini amministrativi o linguistici, le molteplicità culturali e socio-economiche d’Italia.
La montagna, ora come allora, non si arrende e combatte: con i suoi giovani contadini, i suoi pastori, allevatori e casari, i poeti e gli scrittori, gli apicoltori e le tessitrici, i muratori, gli operatori delle fattorie didattiche, i falegnami e i fabbri, gli scalpellini, i bottegai e i maniscalchi. I maestri e le cuoche delle scuole. I bambini. Sono loro i nostri nuovi Partigiani.

giovedì 23 aprile 2015

Ricetta presidio #4 Mèreconde

Mèreconde

La ricetta Presidio che vede come protagonista il Bagòss di Bagolino è facile e veloce e vi permetterà di fare un'ottima figura in una cena con amici e parenti.
I Mèreconde sono gnocchi di Bagòss.


Ingredienti per 4 persone: 

300 gr Pane grattuggiato;
200 gr formaggio bagòss;
3 uova;
prezzemolo;
brodo (preferibilmente di pollo).

Procedimento:

Unite tutti gli ingredienti e lavorateli impastando bene. 
Dividete l'impasto e formate dei gnocchetti. 
Mettere questi gnocchetti nel brodo (meglio se di pollo) e fateli bollire per pochi minuti.

e il gioco è fatto!
Buon appetito!



mercoledì 22 aprile 2015

5 buoni motivi per i quali il bambino sceglie l'Happy meal anziché la pizza

Da giorni è presente in tv una bellissima pubblicità in cui un bambino, indeciso su quale pizza scegliere, ordina al ristorante un happy meal. 

Se non l'avete ancora vista ne avrete sicuramente sentito parlare perchè questo scontro Napoli-Mc Donald's è stato riportato da tutti, o quasi, i giornali e siti di cronaca e anche noi vogliamo dire la nostra!


Abbiamo voluto analizzare la pubblicità e trovare 5 buoni motivi per i quali il bambino sceglie l'happy meal anziché una pizza:

1- il bambino voleva mettere alla prova il cameriere e testare la sua pazienza verso i bambini;

2- il bambino voleva solo un pranzo felice;

3- c'era sul menu una pizza con quel nome;

4- il bambino voleva far sentire ai genitori come era bravo ad augurare il "buon appetito" in inglese;

5- è semplicemente un bambino inglese e non ha capito nulla di quello che c'è scritto sulla lista del ristorante e ha detto la prima cosa che gli sembrava appropriata da dire a tavola;

Ok, siamo seri, la pubblicità non ci piace!

E non ci piace perchè siamo in Italia, perchè siamo a 8 giorni dall'inaugurazione di EXPO, perchè uno dei principali sponsor di Expo è proprio Mc Donald's e perchè la pizza napoletana è enormemente più buona, sana, pulita, giusta e saziante che uno scarso happy meal.

Vi preghiamo bambini, non giocateci più questi scherzi!!

In risposta vi postiamo la pubblicità fatta dai napoletani:


lunedì 20 aprile 2015

Terra in concessione ai giovani! - Gli orti privati diventano illegali? - Conferenza: Le 3 agricolture – contadina, industriale, economica


Terra in concessione ai giovani!

Non avete mai sognato avere un pezzetto di terra in Toscana o in Piemonte?
Avete qualche progetto legato alla terra che tenete nel cassetto? 
è ora di farvi sotto!!!!
La Signora Lia Taddei e suo marito danno in concessione praticamente gratis terreni da coltivare in modo sostenibile. 
Ora hanno pubblicato un sito dove trovare tutte le info e ammirare le foto dei terreni che concedono.
Lia scrive:
«Ormai mi conoscete, sono Lia Taddei, la persona a cui avete risposto in merito al messaggio sui terreni in Toscana e Piemonte da coltivare in modo sostenibile. Come promesso, per non far torto a nessuno, siamo riusciti a fare il sito, sul quale ciascuno potrà leggere la descrizione dei terreni, vedere le foto, farsi un’idea più precisa e rispondere, tramite e-mail indicata nel nuovo sito, con un proprio curriculum e un piccolo progetto relativo ai terreni che gli interessano di più. Noi leggeremo tutto e in tempi ragionevoli vi ricontatteremo, ve lo assicuro!!!!! È interesse anche nostro sia per i terreni, che non resteranno più incolti, sia perché ci date una sferzata di vita!!!!!!»

Cosa state aspettando?? BUONA FORTUNA!

www.relaissandesiderio.com/anticheterre

Gli orti privati diventano fuorilegge?


È circolata nei giorni scorsi una notizia (in realtà in alcuni casi era proprio un pesce d’aprile) che ha suscitato qualche preoccupazione: l’Unione Europea avrebbe in programma il divieto assoluto di coltivazione di ortaggi a uso proprio nel nostro continente, a partire dal gennaio 2016. 
Le ragioni sono le più diverse: pericoli collegati agli Ogm, diffusione di batteri come escherichia coli, l’incubo del “cetriolo assassino” che intossicò 300 persone e ne uccise 16 nel 2011. Proprio da quell'episodio sarebbe partito uno studio UE che avrebbe stabilito come gli orti rappresentino un rischio sanitario molto alto, e come abbiano causato addirittura più decessi degli incidenti stradali. Per chi infrange il divieto sarebbero previste pesanti sanzioni pecuniarie (oltre 100.000 euro) e persino il carcere.

Ci avete scritto in tanti per chiederci se fosse vero. A oggi, non troviamo alcun riscontro, e sembra avere le carte in regola per rappresentare l’ennesima bufala (questa in particolare pare circoli da più di due anni) periodicamente rilanciata dai professionisti dell’allarmismo a buon mercato. Risulta vero, invece che sia stata discussa lo scorso anno una proposta di legge per regolamentare la produzione e la messa in vendita di materiale riproduttivo vegetale, vale a dire sementi. Tra l’altro la proposta non riguardava un divieto, ma una richiesta di maggiore tracciabilità e trasparenza, rivolta oltretutto solo a imprese con più di 10 dipendenti e un fatturato annuo superiore ai 2 milioni di euro. Niente, insomma, che possa riguardare i pollici verdi di tutta Europa.

La proposta di Slow Food in questo senso è una nuova legge sulle sementi, che coniughi la produzione e la disponibilità di semi di alta qualità sanitaria con una effettiva tutela della biodiversità e una particolare attenzione alle sementi tradizionali e al loro legame col territorio.

Negli ultimi anni sono state molte le situazioni di emergenza, ambientale e amministrativa, e ancor di più sono state le bufale e le deformazioni mediatiche dei fatti. Il rischio di una manipolazione a scopi politici è altissimo, e tocca prima di tutto a noi difenderci, verificando sempre le fonti e la credibilità di questo genere di allarmi. 

Intanto, per chi vuole informarsi un po’, vi segnaliamo la Guida al consumo Per fare un piatto ci vuole un seme  scaricabile gratuitamente in pdf qui e per dilettarvi con i vostri orti urbani o rurali c’è Il piacere dell’orto di Slow Food Editore


Conferenza: Le 3 agricolture – contadina, industriale, economica

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Vi invitiamo a partecipare all’appuntamento con Le 3 agricolture – contadina, industriale, economica, convegno che si terrà il 20, 21 e 22 aprile a Rodengo Saiano (Bs) nel Museo dell’Industria e del Lavoro in Via del Commercio 18. Argomento dell’incontro saranno tutte le fasi e i settori del complicato sistema di produzione e consumo agroalimentare, e la loro influenza sul nostro modo di vedere e vivere il cibo. Insieme ai relatori interverranno anche il presidente di Slow Food Italia Gaetano Pascale e il presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Piero Sardo. Tutte le info e il programma quiwww.fondazionemicheletti.eu/italiano

giovedì 16 aprile 2015

Presidio #4: Bagòss di Bagolino

Bagòss di Bagolino



Bagòss, un nome strano e divertente che deriva da "Bagossi", il nome degli abitanti di Bagolino.
Formaggio nobilissimo, è affettuosamente chiamato dai locali il “grana dei poveri”. In effetti, quando è ben stagionato, si presta alla grattugia: ma il Bagòss è soprattutto uno straordinario formaggio da tavola.

Un marchio sullo scalzo delle forme, dal 2004, permette di riconoscere il Bagòss di Bagolino della Cooperativa.

DOVE: Bagolino è un piccolo comune dell’alto Bresciano, in Val di Caffaro. 

COME: Un formaggio a pasta cruda e da latte parzialmente scremato, che in quest’area alpina assume caratteristiche assolutamente originali. La pezzatura è più grande di quella delle tome di montagna: pesa solitamente 16-18 chilogrammi, ma alcuni Bagòss arrivano anche a 20-22 chilogrammi.
Si fa con il latte crudo di vacca (Bruno-Alpina): seguendo un’antichissima tradizione, durante la fase di rottura della cagliata i casari aggiungono un cucchiaino di zafferano. Stagiona a lungo: il disciplinare prevede almeno 12 mesi, ma la media è più alta (24 o 36 mesi). Durante l’affinamento la crosta è unta con olio di lino crudo, che le conferisce una tipica colorazione bruno-ocra.

Il Bagòss comincia ad esprimere tutta la complessità di grande formaggio dopo almeno 10-12 mesi di stagionatura, quando la pasta inizia a diventare granitica e tende a rompersi in scaglie. 
CARATTERISTICHE: al naso si avvertono, potenti, le sensazioni speziate dello zafferano, unite a note molto verdi di pascolo e fienagione. Buona la corrispondenza gustativa: alle note verdi si aggiungono una leggera sensazione di mandorle e un finale di bocca lievemente piccante, che tende ad aumentare con il prolungarsi della stagionatura. 


STAGIONALITA': il Bagoss si produce tutto l’anno. La stagionatura minima prevista dal disciplinare del Presidio è di 18 mesi. 

I PRODUTTORI:
I produttori del Presidio sono sei, e aderiscono tutti alla Cooperativa Valle di Bagolino. Producono il loro formaggio seguendo tecniche artigianali e antiche. Tutti quanti usano il fuoco a legna e grandi pentoloni di rame. D’estate caseificano in alpeggio, d’inverno un disciplinare rigoroso prevede di alimentare gli animali soltanto con fienagione locale. 


Livio Buccio
Bagolino (Bs)
Via Romanterra, 17
Tel. 0365 903191
Produce in malga Gera Alta (1894 metri) e in malga Gera Bassa (1708 metri).

Amerigo Salvadori
Bagolino (Bs)
Via Ponte Selva, 14
Tel. 0365 99600-3284511046
Produce in malga Maniva (1500 metri) e in malga Dasdana (1809 metri).

Diego Scalvini
Bagolino (Bs)
Via Cerretto Basso
Tel. 0365 99354-333 6671429
aziendascalvini@alice.it
Produce in malga Doletten (1955 metri).

Francesco Stagnoli
Bagolino (Bs)
Via Prada, 22
Tel. 0365 99786-99968
Produce in malga Scaie(1700 metri) e in malga Cornelle (2000 metri).

Primo Stagnoli
Bagolino (Bs)
Località Rive
Tel. 0365 99725-329 2335857
Produce in malga Bruffione (1754 metri).

Mario Buccio
Bagolino (Bs)
Via Conti, 13
Tel. 0365 99468-328 8425209
info@formaggiobagoss.com
www.formaggiobagoss.com
Produce in malga Vaimane (1470 metri) e in malga Casade (2000 metri).


per saperne di più: http://www.fondazioneslowfood.it/presidi-italia/dettaglio/3500/bag-ss-di-bagolino#.VS_4V9ysUzw

lunedì 13 aprile 2015

Non mangiamo il pescato degli schiavi - Tracciabilità: nuove garanzie per i consumatori - I 3 trucchi fondamentali per comprare un vino al supermercato




Non mangiamo il pescato degli schiavi



In questi giorni non si legge giornale e non si ascolta un gazzettino che non riporti brutte, anzi orripilanti notizie. A casa nostra, mentre stiamo tutti con l’acqua alla gola a barcamenaci per riuscire a mangiare tutti i mesi, sembra che non si possa spostare un fuscello senza dover pagare un extra a qualche losco amministratore. E se guardiamo oltre il mare la situazione peggiora: c’è poco da aggiungere sulla disperazione dei profughi palestinesi del campo di Yarmuk, alle porte di Damasco. Siamo tutti con il fiato sospeso ad augurarci che trovino scampo, sollievo, libertà. Ce n’è abbastanza per rigettare altre informazioni, e ci rendiamo conto che questi avvenimenti siano stimoli più che sufficienti la vostra sensibilità. Ma ci teniamo a portare alla vostra attenzione un fatto venuto alla luce qualche giorno fa, perché ci riguarda da vicino da anche se successo in un altro continente. Ci riferiamo alla tratta di pescatori ridotti in schiavitù scoperta in Indonesia. 

Siamo tutti complici: noi per primi, con le nostre scelte d’acquisto fomentiamo queste pratiche barbare e illegali. E quindi sì, ci riguarda. Tutti quanti.


A far venire fuori questa triste storia è stata l’Associated Press con un’inchiesta, pubblicata a fine marzo e realizzata da Margie Mason e Martha Mendoza con la collaborazione di Esther Htusan. Le giornaliste hanno fotografato le condizioni dei pescatori stranieri di Benjina, un paese su un’isola dell’arcipelago di Aru, dove centinaia di pescatori, in gran parte provenienti dalla Birmania, erano costretti a lavorare sotto le angherie di un vigilante con turni di lavoro tra le 20 e le 22 ore alternati da calci, pugni e frustrate, senza giorni di pausa, con poco cibo e acqua sporca. Vi è passato l’appetito? Sicuri di voler ancora quei gamberetti di dubbia provenienza che vi strizzano l’occhio dal mega freezer del supermercato?

Se ancora state pensando di ordinare al take away sotto casa gamberetti alla piastra di cui non conoscete la provenienza, aggiungo che non ci sono statistiche sulla mortalità degli schiavi a bordo dei pescherecci, ma dai racconti dei sopravvissuti si capisce che deve essere piuttosto alta. Un esempio? Otto uomini considerati a rischio di fuga sono stati rinchiusi in una gabbia di ferro dove la loro alimentazione consisteva in un pugno di riso e curry al giorno. Con il tempo, gli agenti che si occupano di trovare i marinai da inviare sulle imbarcazioni, sono divenuti sempre più spietati e hanno iniziato ad arruolare anche bambini e disabili, a mentire sugli stipendi e persino a drogare e rapire gli immigrati che arrivano in Indonesia dai paesi più poveri dell’Asia. Il prezzo di uno schiavo è di circa mille euro e una volta reclutati gli schiavi sono obbligati a ripagarlo ai capitani con il loro lavoro, un’impresa spesso impossibile visto che in genere gli stipendi arrivano in ritardo o non arrivano affatto.

I pescatori coinvolti sarebbero circa 4000 e arrivano da Cambogia, Laos, Myanmar e a Thailandia. Più di 350 pescatori, per lo più da Myanmar, sono stati trasferiti nel fine settimana dall’isola Benjina al largo della costa della provincia di West Papua, per la loro sicurezza: «Il rischio era che potessero subire gravi reazioni dopo raccontato la loro condizione» ha dichiarato ai giornalisti il Ministro indonesiano della Pesca Mas Achmad Santosa: «Provvederemo al loro rientro in patria». Misna ci informa che il Governo indonesiano ha annunciato che formerà una squadra speciale per avviare le indagini. L’impresa sotto accusa è la Pusaka Benjina Resource, l’unica società di pesca autorizzata dal Governo indonesiano. Dall’inchiesta di Ap ( notizia confermata da fonti ministeriali) è emerso che in molti casi la società è soltanto una copertura e spesso i capitani delle imbarcazioni sono thailandesi.

Insomma, forse siamo pedanti, ma nel caso del pesce più che per altri alimenti è opportuno scegliere pesce locale (è importante anche per l’ambiente), conoscere i pescatori e se si è lontani dal mare rivolgersi a un pescivendolo di fiducia. E sinceramente, anche se a poco prezzo, quei gamberetti asiatici ci sono proprio indigesti. Sicuri che non se ne possa fare a meno?

Per parlare di pesce buono, pulito e giusto vi diamo appuntamento Genova dove dal 14 al 17 maggio c’è Slow Fish. Venite, ne scoprirete davvero di buone e di belle.

Foto: AP Photo/Dita Alangkara
Fonte: http://www.slowfood.it/non-mangiamo-il-pescato-degli-schiavi/

Tracciabilità: nuove garanzie per i consumatori



Rivoluzione nella tracciabilità di maiale, agnello e capretto dopo gli scandali della carne di maiale tedesca alla diossina venduta in tutta Europa e degli agnelli ungheresi spacciati per italiani: dal primo aprile entra in vigore anche nel nostro paese il nuovo regolamento che impone l’indicazione di origine o di provenienza delle carni fresche, refrigerate o congelate di suini, ovini, caprini e volatili. Scegliendo la carne con la scritta “origine Italia” potremo dunque essere certi che tutte le fasi della lavorazione, dalla nascita all’allevamento fino alla macellazione si siano svolte sul territorio nazionale. Finalmente si concretizza un percorso iniziato 15 anni fa con l’obbligo di etichettatura di origine per la carne bovina fresca introdotta sotto la spinta dell’emergenza “mucca pazza” che impose l’obbligo di indicare, oltre al luogo di macellazione e allevamento, anche quello di nascita. Dalla nuova norma restano però escluse la carne di cavallo, quella di coniglio, molto diffusa in Italia, e la carne di maiale trasformata in salumi. Un dato che non ci rassicura considerato che due prosciutti su tre sono fatti da maiali stranieri all’insaputa del consumatore.

Siamo certamente contenti di questo provvedimento che per noi rappresenta un primo passo verso una maggiore informazione per il consumatore che dovrebbe avere a disposizione tutti gli strumenti per fare le sue scelte. Ben venga la segnalazione della provenienza, certo, ma che dire dei metodi produttivi? Ecco perché proponiamo l’etichetta narrante con informazioni precise sui produttori, sulle loro aziende, sulle varietà vegetali o le razze animali impiegate, sulle tecniche di coltivazione, allevamento e lavorazione, sul benessere animale, sui territori di provenienza… Per giudicare la qualità di un prodotto, infatti, non bastano analisi chimiche o fisiche e non è sufficiente neppure la degustazione. Qualunque approccio tecnico non tiene conto di ciò che sta alle spalle di un prodotto – l’origine, la storia, la tecnica di trasformazione – e non consente al consumatore di capire se un cibo è prodotto nel rispetto dell’ambiente e della giustizia sociale. Inoltre, la comunicazione che accompagna i prodotti spesso è mistificante: fa riferimento a mondi contadini colmi di poesia, presunte tecniche tradizionali, vaghi richiami a sapori antichi. Elementi evocativi in realtà lontanissimi dalle effettive qualità dei prodotti pubblicizzati. Lo testimoniano gli elenchi di additivi e ingredienti di natura ignota ai più riportati sulle etichette dei prodotti che riponiamo nei nostri carrelli della spesa, lontani anni luce dalle immagini e dagli slogan della pubblicità.


I 3 trucchi fondamentali per comprare un vino al supermercato


Breve premessa: il vino non andrebbe acquistato al supermercato, perché la scelta sugli scaffali pare fintamente ampia e poi perlopiù vengono propinati vini industriali la cui unica qualità è quella di presentare un prezzo basso e forse un packaging carino. Se potete andate alla fonte: comprate le bottiglie dai produttori, dai vignaioli, conosceteli, visitateli e poi portatevi a casa le etichette che più vi hanno convinto… Se questo è impossibile, perché avete un’urgenza e siete rimasti a bocca asciutta, vi consigliamo di cercare un’enoteca, fatevi amico il gestore e andateci spesso, magari raccontando i vostri gusti e facendogli capire cosa amate. Ecco, se entrambe le ipotesi non sono percorribili, per le ragioni che potete sapere solo voi, allora non vi resta che entrare in un supermercato…



Ora veniamo a voi e al vostro momento di difficoltà. Vi trovate davanti a uno scaffale di 50 metri di lunghezza e il vostro vignaiolo del cuore qui proprio non c’é. Strano… prima di darvi ai succhi di frutta (anche quelli nella gdo non sono proprio una mano santa…) fate un bel respiro e provate a seguire queste regolate semplici semplici:

1) Il prezzo. Non comprate un vino che costi meno di 5 euro sullo scaffale. È praticamente impossibile che una bottiglia da 0,75 litri possa essere pagata di meno ed essere anche buona, o comunque realizzata con minimi standard di qualità. Fate un calcolo: sotto l’euro al chilo (che poi è la quantità utile per realizzare una bottiglia) è complicato acquistare delle uve coltivate con criteri minimali di cura agronomica. Metteteci almeno un altro euro per coprire i costi di produzione (cantina, macchinari, luce, manodopera, ecc…); 50 centesimi per vetro, etichetta, tappo. Siamo arrivati a 2,5 €. Un po’ di margine per il commerciante/produttore non vogliamo calcolarlo???? Infine ricarico della gdo, e l’Iva che conta un bel po’… 22%. Insomma, sotto i 5 euro allo scaffale comprerete un vino che in una delle fasi di cui si è parlato sopra è andato decisamente al risparmio. Indovinate quale sarà? Secondo noi sicuramente l’acquisto dell’uva, o molto più probabilmente del vino già fatto. Come è possibile? Semplice si sfrutta il lavoro dei contadini, del vignaiolo o purtroppo la sua disperazione: si passa un mese prima della vendemmia quando deve liberare le vasche per il nuovo mosto e gli si dice: “vogliamo farti un piacere, ti svuotiamo la cantina, il prezzo però lo facciamo noi…”

2) Imbottigliato all’origine da, Prodotto e imbottigliato da, imbottigliato all’origine dalla cantina sociale. Tutte queste espressioni possono essere completate dalla dicitura “integralmente prodotto”, a condizione che il vino sia ottenuto da uve raccolte esclusivamente in vigneti di pertinenza dell’azienda e vinificate nella stessa.. Lo sappiamo, questa è una regolata un po’ noiosa, perché obbliga a guardare solitamente la controetichetta. Però è molto utile perché ci dice se quel vino è frutto di una filiera controllata da una sola azienda. Uve, vino e imbottigliamento sono in mano a un’unica cantina. Non sono state vendute a terzi che poi le hanno trasformate. Di che tipo di garanzia stiamo parlando? Il vino probabilmente sarà un po’ più buono perché chi si è coltivato le uve, se le è vinificate e poi ci mette la faccia con tanto di nome e cognome di solito non vuole fare figuracce troppo grandi. Attenzione alle sigle incomprensibili. Noi non sceglieremo mai un vino che abbia questa dizione: imbottigliato da ICQRF con il codice che segue, che è quello del registro carico e scarico attribuito dall’Ispettorato Centrale Qualità e Repressione Frodi e deve essere accompagnato (prima o dopo il codice non fa differenza) da un riferimento allo Stato di appartenenza (IT oppure ITALIA). Di solito dietro questa sigla ci sono i grandi commercianti imbottigliatori che realizzano numeri immensi di bottiglie miscelando partite differenti. In questo caso la qualità è molto difficile da scovare…

3) Fare affidamento su Doc e Docg (Dop), in misura minore sulle Igt (Igp), scartare i vini senza una di queste tre categorie. Questo terzo trucco seguitelo solo nella gdo perché fuori potrebbe farvi commettere degli errori… Sullo scaffale di un supermarket è una garanzia ulteriore che ci viene data. Sappiamo almeno da dove arrivano le uve e solitamente per le denominazioni di origine il valore delle stesse è leggermente più alto. In questo caso però fate attenzione che il vino sia stato imbottigliato nella zona della Doc e Docg, perché esistono purtroppo delle eccezioni. Un esempio su tutti: la Doc Sicilia dà la facoltà di imbottigliamento anche fuori regione. Se vedete che la bottiglia di Nero d’Avola davanti a voi, con confezione tanto bellina, porta come provincia di imbottigliamento Verona, Cuneo, Asti, ecc… riponetela delicatamente sullo scaffale e scappate a gambe levate…. Sulle Igt un 15% del contenuto della bottiglia può essere fatto con vino acquistato da fuori regione, non proprio un segnale di grande cura e tracciabilità…


giovedì 9 aprile 2015

Le Giovani Ricette #29: Pasta ai carciofi, pomodori secchi e mortadella

Pasta ai carciofi, pomodori secchi e mortadella


L'ingrediente principale di questa ricetta è il carciofo, che al contrario di come tanti pensano è un bocciolo e non un frutto, infatti se lasciato crescere diventa un fiore azzurro.
E' una pianta molto antica e ne esistono molte varietà sia primaverili che autunnali.
Anche Pablo Neruda ha dedicato un poema a questo ortaggio.

Ingredienti:
pasta corta: 250gr
carciofi: 2medi
pomodori secchi: 20gr
mortadella: una fetta spessa 1cm
olio: qb

Procedimento:
Lavate e pulite i carciofi da foglie esterne e barba, tagliateli a listarelle e mettele in una padella antiaderente con un filo d'olio e fateli rosolare per qualche minuto.


Tagliate poi a pezzetti i pomodori secchi e la mortadella e unite il tutto ai carciofi.


Nel frattempo mettete sul fuoco acqua salata e appena bolle buttate la pasta; una volta cotta unite la pasta al sugo e fate insaporire per un minuto.

Servite caldo e buon appetito!