lunedì 27 luglio 2015

Nuovi schiavi, il consumatore può salvarli - 15 alimenti che dovremmo smettere di tenere in frigo - Giro del mondo in 80 minuti

Nuovi schiavi, il consumatore può salvarli
Le indagini sono ancora in corso per cui non è il caso di trarre conclusioni, ma quel che è certo è che la storia di Mohammed Abdullah, il cittadino sudanese morto qualche giorno fa nelle campagne della Puglia mentre lavorava alla raccolta dei pomodori, è l’ennesimo campanello di allarme a indicarci che qualcosa non va. Troppe persone nelle nostre campagne lavorano in condizione al limite dell’umano. Tutto questo per garantire prezzi sempre più competitivi e guadagni a intermediari senza scrupolo. E’ evidente che qualcosa non va nel nostro sistema produttivo.

Già, perché il caso di Nardò non è certo un caso isolato, e la piaga del caporalato in agricoltura non ha confini regionali o di coltivazione (lo testimoniano i casi dell’inchiesta sui lavoratori nelle vigne piemontesi, su quelli impiegati nella raccolta dei meloni nel mantovano o degli agrumi in Calabria e Sicilia, delle mele in Trentino o Piemonte e così via).

Questi, che non sono episodi isolati, dovrebbero portarci a comprendere che il problema affonda le sue radici in profondità, non solo nella smania di qualcuno di fare più soldi o di farli più in fretta.
Le cause ultime di uno sfruttamento del lavoro così difficile da debellare e da estirpare risiedono proprio nel fatto che il modello di competitività imposto dal libero mercato anche all’agricoltura non è compatibile fino in fondo con il pieno rispetto di tutti gli attori della filiera. Questa amara presa di coscienza non deve però lasciarci passivi o rassegnati. I consumatori possono avere un ruolo positivo, seppur non pienamente risolutivo. Ancora una volta l’informazione è l’arma principale per operare scelte consapevoli e per cercare di non premiare proprio quelle realtà che sono ad alto rischio di sfruttamento del lavoro. E poi urge un cambio di mentalità nient’affatto facile: trovare una bottiglia di vino a un euro o una di passata di pomodoro a 0,60 dovrebbe farci venire voglia di saperne di più e non farci esultare per la possibilità di risparmiare qualcosa sulla spesa.


15 alimenti che dovremmo smettere di tenere in frigo
Sono sicura che molti di voi sognano di dormirsela rannicchiati vicino alla porta aperta del frigo e che la tentazione è quella di mangiare tutto ghiacciato. Ma cerchiamo di non esagerare, che d’estate fa caldo e si sa (sarebbe preoccupante il contrario, no?) e alcuni cibi sarebbe meglio tenerli fuori frigo. Naturalmente valutiamo anche le temperature: con 40 gradi all’ombra, umidità percepita al 99% e se siete sprovvisti di cantina alcune cose sarà comunque preferibile tenerle al fresco, ma con qualche accorgimento. Vediamo quale.

Pomodori
Tenerli in frigo significa rinunciare al sapore e al profumo. L’ideale sarebbe tenerli un cestino o in una boul di vetro. Se vi spaventa Caronte, prendeteli un po’ meno maturi dal vostro contadino o verduraio di fiducia e lasciateli maturare in casa.
Basilico
Se proprio non riuscite a far crescere una piantina in balcone o sul davanzale, non mettete però i vostri rametti di basilico in frigo. Finirebbe con assorbire tutti i gusti e i profumi che lo circondano. Meglio tenerlo a mollo in un bel vasetto d’acqua fresca. Se invece avete necessità di conservarlo a lungo, provate a congelarlo, per esempio sott’olio.
Patate
Le basse temperature trasformano l’amido in zucchero molto più in fretta di quanto voi possiate immaginare. Meglio sistemarle al buio, in un sacchetto di carta o stoffa, nel posto più fresco della casa. Mi raccomando, niente plastica!
Aglio
Stesso problema delle patate.
Cipolle
Caronte a parte, le cipolle meglio lasciarle fuori frigo dove rischiano di ammuffire ancora più velocemente. Se proprio non trovate un angolino fresco in casa, tenetele nella parte bassa, dentro un contenitore a chiusura ermetica.
Avocado
Sarebbe meglio non mangiarne troppi considerati i km che percorrono. Ma se non resistete alla tentazione non rovinateveli mettendoli in frigo: l’aria fredda, come succede al pomodoro, ne blocca la maturazione. Quindi quelli più duri possono stare fuori a maturare serenamente, se invece li comprate già maturi, ok al frigorifero, ma nella parte bassa e per poco tempo.
Olio di oliva
Io non l’ho mai visto fare, ma insomma ci fosse qualcuno che mette l’olio in frigo meglio che smetta. Non succede niente di grave, ma occupa spazio inutilmente e in più si raddensa.
Pane
È uno degli errori più grandi che possiate fare: l’ambiente refrigerato farà asciugare il vostro pane velocemente. Meglio tenere in un sacchetto di carta o stoffa.
Miele
Se lo chiudete per bene, non c’è alcun bisogno di tenerlo in frigo! È possibile del resto che in un ambiente refrigerato cristallizzi.
Caffè
Ci sono cascata pure io, lo ammetto. Ma il caffè come il basilico, assorbe molto gli altri odori presenti in frigo. Conservatelo al buio, meglio se in un barattolo che non lasci passare la luce.
Agrumi
Meglio conservarli a temperature ambiente per non rischiare di peggiorarne la qualità.
Cetrioli sotto aceto
Non hanno bisogno del frigo, ma se li preferite freddi (e in questo periodo ci sta) meglio se posizionati nella portina così lasciate i posti più freddi per alimenti che ne hanno più bisogno.
Piante aromatiche
Ne brucereste completamente i profumi. Meglio conservarli come il basilico: un bicchiere di acqua fresca da rinnovare ogni tanto.
Ketchup
Il kutchup come i cetriolini, non hanno bisogno di basse temperature, occupano spazio inutilmente.
Cioccolato
Nel frigorifero la temperatura è troppo bassa e l’umidità è troppo alta. E l’umidità è nemica del cioccolato! Se esposto a un’umidità eccessiva, gli zuccheri fioriscono affiorando per evaporazione: riconoscerete questo fenomeno per i piccolissimi cristalli che si creano in superficie. E poi rischiate di contaminare la vostra barretta preferita con gli altri odori e sapori. Vi assicuro che capisco e condivido l’astinenza estiva, provate a rimediare con il gelato. Il cioccolato in frigo meglio di no.


Giro del mondo in 80 minuti
Tutti noi abbiamo il sogno di poter girare il mondo, ma 80 giorni sono troppi!
noi della rete giovane abbiamo deciso di mostrarvi la terra in soli 80 minuti utilizzando i SAPORI, i RACCONTI, le LEGGENDE e i PROFUMI dei formaggi internazionali.
un'occasione unica che vi metterà su un unico piatto formaggi provenienti da tutto il mondo!
Assaporate insieme a noi alcuni dei formaggi di expo!

Giovedì 30 luglio ore 19.30 sugli spalti san michele in città alta

la degustazione comprende:
- formaggi internazionali
- focaccia
- birra artigianale

>>>>>>>>>>> € 8 a persona<<<<<<<<<<<<

consigliata la prenotazione

slowfoodgiovanevo@gmail.com

giovedì 23 luglio 2015

Ricetta Presidio #7: Risotto pannerone e pere

Risotto pannerone e pere
Ingredienti: 

Riso carnaroli 350 g 
Pere decane (o altre succose e fondente) 200 g 
Vino bianco 1 bicchiere 
Cipolle 1 piccola 
Olio di oliva extravergine 3 cucchiai 
Burro 20 g 
Brodo leggero di carne o vegetale 800 ml
Pannerone 200 g

Preparazione:

Per preparare il risotto pannerone e pere, cominciate mettendo a scaldare l’olio e il burro in una casseruola capiente, aggiunte poi la cipolla tritata finemente e fatela appassire. Una volta che la cipolla sarà appassita, aggiungete il riso e fatelo tostare; aggiungete quindi un bicchiere di vino bianco e fate sfumare.  Continuate la cottura  aggiungendo un mestolo di brodo di tanto in tanto e mescolate.
Mentre il riso cuoce, sbucciate le pere, eliminate il torsolo centrale e tagliate la polpa in cubetti. Tagliate a cubetti anche il pannerone. Quando il riso sarà quasi cotto, aggiungeteci la polpa di pera e poi il pannerone. Amalgamate bene il tutto e ,prima di servire, lasciate mantecare per qualche minuto il risotto pannerone e pere.

lunedì 20 luglio 2015

Il cibo (ri)diventa naturale. Tutto vero ciò che è verde? - Latte in polvere, arriva la proroga - Racconti di luppolo #2

Il cibo (ri)diventa naturale. Tutto vero ciò che è verde?

A gennaio 2015, McDonald’s sostituisce l’amministratore delegato, colpevole di aver assistito inerme a un costante calo delle vendite che durava da nove trimestri. Kellogg’s se la passa un tantino meglio, ma anche questo colosso subisce da sette trimestri una sensibile diminuzione delle vendite. Gli utili della della Kraft si sono ridotti del 62 per cento nel corso dell’ultimo anno e Coca-Cola ha avviato un piano per risparmiare 3,3 miliardi di euro nei prossimi cinque anni.
Sullo scorso numero di Internazionale Martín Caparrós annuncia: «Oggi niente vende di più di un prodotto definito sano e prodotto in condizione eque per i lavoratori». Siamo all’alba di un nuovo giorno? Non possiamo certo negare una certa soddisfazione e anche compiacimento: sempre più persone scelgono cibo buono, pulito e giusto! E sempre più consumatori diventano co produttori, attenti a ciò che finisce nel loro piatto, preoccupati non solo della propria salute, ma anche di quella del pianeta e delle condizioni di chi quel cibo l’ha prodotto. Il risultato? Costrette dalla virata nei consumi, le grandi aziende si rifanno il trucco: eliminano coloranti e conservanti, evitano le sostanze potenzialmente dannose, riducono la quantità di grassi e zuccheri aggiunti, aprono linee integrali e biologiche.
Ma sarà tutto oro quello che luccica?
Ad adeguarsi ai nuovi gusti alimentari, non è solo la produzione. A guidare le truppe (che ve lo diciamo a fare…) ci sono marketing e comunicazione del brand. E come per magia ora si sente parlare solo di salute e genuinità dei prodotti, provenienza certificata e sostenibilità della produzione. Il cibo diventa (ritorna?) naturale, privo di coloranti, conservanti o sostanze chimiche e prodotto nel rispetto di ambiente e lavoratori. Come nonna l’ha fatto.
Ma le etichette confermano quello che gli spot sostengono? O ancora, le informazioni che abbiamo sono sufficienti per determinare l’affidabilità di un cibo? Oppure oltre alla lista di ingredienti ci piacerebbe anche scoprire (ad esempio) il metodo di produzione? L’etichetta non potrebbe raccontarci una storia? 

Nell’euforia del momento, non facciamoci prendere per il naso: leggiamo gli ingredienti, capiamo di che cosa si sta parlando e non fidiamoci troppo della regola del risparmio. Non ci stanchiamo di ripetere (e ora i dati ci danno ragione) che le scelte fatte a tavola sono scelte politiche e si diventa cittadini attivi anche solo facendo la spesa. Il nostro portafoglio è uno strumento potente: scegliere un prodotto significa supportare un’idea, il lavoro di molti produttori, un’intera comunità. Come fare dunque? Prima di tutto, siamo curiosi, informiamoci, per quanto possibile scegliamo prodotti locali, premiamo le aziende virtuose, conosciamo meglio il nostro quartiere: frequentiamo il mercatino rionale e le varie botteghe. Tutte ottime abitudini che permettono di mettere in atto strategie che, piano piano, possono cambiare il mondo, per davvero. E finalmente si inizia a vederne i frutti!


Latte in polvere, arriva la proroga
Su richiesta dell’Italia, la Commissione europea ha deciso di prorogare fino al 29 settembre 2015 il termine di risposta alla lettera di avvio di una procedura di infrazione, attualmente in fase precontenziosa, in merito al divieto di impiego di latte concentrato o in polvere nelle produzioni lattiero-casearie. Si tratta della legge n .138 dell’ 11 aprile del 1974, una buona norma che finora ha contribuito a garantire la bontà, la qualità e la salubrità del nostro settore lattiero caseario.
Se è vero che l’Ue non ci impone l’utilizzo di latte in polvere per i nostri prodotti, è anche vero che questa manovra è un bell’assist per l’industria meno attenta alla qualità e più al profitto l fatto è che grazie a questa legge, scegliere un qualsiasi formaggio prodotto in Italia (anche non Dop) ci dà la garanzia che sia fatto senza latte in polvere. Se la norma venisse abrogata non avremmo più questa certezza. E diciamocelo, è una questione di principio che riguarda tutto l’agroalimentare italiano di qualità. L’indicazione in etichetta non basta.
Come dicevamo, il latte in polvere non è nocivo per la salute, ma il suo utilizzo per produrre formaggi non può che standardizzare e banalizzare un prodotto che invece dovrebbe nascere dalla biodiversità dei latti, degli animali, dei territori. Se l’Italia ammettesse la produzione di formaggi anche con latte in polvere non farebbe altro che aumentare la confusione dei consumatori, penalizzando ulteriormente i produttori virtuosi.



Racconti di luppolo #2
E' passato un mese dall'ultimo evento sulla birra targato slow food!
Con Caronte che non ci lascia scampo, la birra artigianale è un piccolo piacere fresco che non possiamo perderci!

Giovedì 23 luglio ore 19.30 al @CB2015 sugli spalti san michele

la degustazione comprende:
-birra aritigianale premiata in guida Slow Food
-focaccia

>>>>>>>>>>> € 8 a persona <<<<<<<<<<

Prenotazione consigliata
slowfoodgiovanevo@gmail.com

mercoledì 15 luglio 2015

Presidio #7: Pannerone di Lodi

Pannerone di Lodi



Il nome Pannerone deriva da “panéra” che in dialetto lodigiano significa crema di latte, panna; poiché prevede l’utilizzo esclusivo di latte intero, ricco di panna. Un tempo era indicato anche col nome di “Gorgonzola bianco”, benché non avesse, in realtà, alcuna parentela con il più famoso blu d’Italia, fuorché la forma esteriore e talvolta il peso.

DOVE: L'area di produzione è Lodi e comuni limitrofi sempre in provincia di Lodi.

COME: Il latte vaccino crudo viene coagulato a 28-32°C in 30 minuti; quindi si rompe la cagliata fino ad ottenere grumi della grandezza di un chicco di mais. Si effettua un parziale prelievo del siero con bacinelle (“ramin”) e, mantenendo la massa sempre in movimento, si estrae la cagliata mediante tele dette “patte”. Quindi si procede sminuzzando manualmente la pasta e collocandola nelle fascere, dove resta 4–5 giorni ad una temperatura di 28–32°C, ove completa lo spurgo. Estratte dagli stampi, le forme vengono avvolte in carta speciale, strette da fascette di legno e così mantenute in stufatura per un’ulteriore giornata. La maturazione prosegue mantenendo le forme a temperatura ambiente per 24–48 ore, per poi collocarle definitivamente in cella frigorifera a 4–6°C. Complessivamente il tempo di stagionatura è di circa 10 giorni.
Le forme di Pannerone, dal peso di 12, 13 chili, sono cilindriche, con un diametro di 25, 30 centimetri e uno scalzo di 20; hanno crosta sottile, liscia, di colore giallo paglierino. La pasta, bianco panna con occhiatura diffusa, è morbida e profumata.

CARATTERISCHE: La caratteristica che lo rende unico è l’assenza totale di qualsiasi procedimento di salatura. Il sapore del Pannerone, risultato dell’attività della flora batterica in assenza di sale, risulta complesso e particolare. Il gusto moderno, con la sua predilezione per formaggi dolci e, in certo modo, “facili” ne ha quasi determinato la scomparsa. Prima della Grande Guerra, la sua produzione era diffusa in tutta la bassa Lombardia, con i comuni del Lodigiano, Casalpusterlengo in particolare, come principali centri di produzione.
Il Pannerone ha un profilo organolettico unico nel panorama caseario italiano: dopo l’ingresso in bocca dolce e suadente, si caratterizza per il finale nettamente ammandorlato: un sapore tendente all’amaro che in un altro formaggio potrebbe essere considerato un difetto, mentre in questo è il carattere specifico del prodotto. Il contrasto dolce-amaro e l’assenza di sapidità lo rendono un cacio difficile, antimoderno. Tuttavia la sua personalità spiccata, assolutamente originale, consente abbinamenti anche audaci: con mostarda di frutta alla senape, confetture, uva fresca, miele aromatico, distillati di vinacce… e così via inventando.

STAGIONALITA': Il pannerone si produce tutto l’anno.

PRODUTTORI: Nel Lodigiano, ad oggi, resiste un unico produttore di Pannerone.

Angelo Carena
Caselle Lurani (Lo)
Via Pozzo Bonella, 7
tel. 0371 96054 - 335 5385022
caseificiocarena@caseificiocarena.it
www.caseificiocarena.it

lunedì 13 luglio 2015

Chi spreca, paghi! - Il formaggio si fa con il latte! Firma la petizione! - Racconti di un norcino #2

Chi spreca, paghi!

Nei giorni in cui il Parlamento italiano avvia la discussione sulla proposta di legge contro gli sprechi alimentari, torna con sempre più impellenza la questione del contrasto di questo fenomeno, soprattutto perché la Francia ha approvato una legge ‘rivoluzionaria’ sul tema. La legge francese deliberata dall’Assemblea Nazionale prevede, infatti, che i supermercati superiori ai 400 mq, a partire dal luglio 2016, debbano attrezzarsi per donare il cibo invenduto e ancora perfettamente edibile. Per chi non rispetterà questo sacrosanto principio del “chi spreca paga” sono previsti fino a due anni di carcere e 75.000 euro di multa. La proposta legislativa francese rappresenta una vera e propria svolta che né il nostro Paese né la Comunità Europea avevano saputo imprimere finora. Anzi, a ben guardare, la proposta di legge che è approdata in Commissione parlamentare (Gadda-Fiorio) nasce datata. Bene le facilitazioni e la semplificazione burocratica, ma serve prevedere una norma che, come è successo per la lotta al fumo, incida radicalmente sulla nostra cultura alimentare.
Sì perché la necessità attuale è di contrastare lo spreco alimentare lungo tutta la filiera. Federdistribuzione conferma che le eccedenze di cibo nel loro settore sono circa il 12% del totale (poco meno di un milione di tonnellate) e noi sappiamo che le donazioni della distribuzione nel 2014 ammontano circa a 60.000 tonnellate di cibo, circa l’8% delle eccedenze complessive in questo pezzo della filiera. Esiste un grande margine di manovra, dunque, ma soprattutto abbiamo la necessità di mandare un segnale forte all’opinione pubblica (il 40% circa degli sprechi alimentari complessivi, nel nostro Paese, avviene ancora tra le nostre mura domestiche) per dire una volta per tutte che il cibo non è una merce bensì un bene collettivo. Una buona legge per combattere lo spreco alimentare è possibile in Italia. Si discuta, ci si confronti, si decida: è una questione di civiltà e di responsabilità verso il pianeta e le generazioni future.

fonte:http://www.slowfood.it/chi-spreca-paghi/

Il formaggio si fa con il latte! Firma la petizione!
La legge italiana proibisce l’uso di latte in polvere per fare formaggio. È una buona legge, che ha contributo non poco a salvaguardare l’immenso patrimonio caseario di tutto il paese.
Ora, la Commissione europea, sollecitata da una parte dell’industria lattiero casearia italiana, invita l’Italia a modificare questa legge entro la fine di luglio per garantire la libera circolazione delle merci. Ancora una volta, in nome del libero mercato, si tenta di livellare verso il basso, a spese dei produttori di qualità e dei consumatori. Il latte in polvere non è nocivo per la salute, ma il suo utilizzo per produrre formaggi ha un unico risultato: aumentare i profitti dei giganti dell’industria casearia, omologando un prodotto che dovrebbe nascere dalla biodiversità dei latti, degli animali, dei territori. Se l’Italia ammettesse la produzione di formaggi anche con latte in polvere non farebbe altro che aumentare la confusione dei consumatori, penalizzando ulteriormente i produttori virtuosi.
Non facciamo un passo indietro su qualità e sostenibilità. Anzi, facciamo un passo avanti e chiediamo a tutti i paesi europei di affermare un principio molto semplice: il formaggio si fa con il latte!



Racconti di un norcino #2
Terzo appuntamento con il giovedì di degustazione di luglio!
Dopo aver assaporato il formaggio e il vino, è la volta dei salumi.

Giovedì 16 luglio alle ore 19.00 presso gli spalti san michele al @CB2015 vi aspettiamo per assaporare i sapori dei salumi bergamaschi!

La degustazione comprende:
-salumi
-focaccia
-vino in abbinamento

€ 8 a persona

consigliata la prenotazione

slowfoodgiovanevo@gmail.com

giovedì 9 luglio 2015

Le Giovani Ricette #32: Crudo e melone alternativo

Crudo e melone alternativo
Il classico piatto estivo fresco e gustoso rivisitato in chiave più moderna! Basta l'aggiunta di un po di condimento e dell'ingrediente più tipico italiano, la pasta!

Ingradienti:
250g di pasta corta
mezzo melone
prosciutto crudo
basilico fresco
olio
sale
pepe

Procedimento: 
Tagliate il melone a metà e privatelo dei semi, prendetene quindi metà e tagliatelo a dadini.

Tagliate quindi il prosciutto cruto a listarelle.

Nel frattempo avrete fatto cuocere la pasta e l'avrete fatta raffreddare.
Una volta che la pasta è fredda, mettetela in una terrina abbastanza grande da contenere anche tutti gli altri ingredienti. Incorporate quindi il melone. il prosciutto crudo, le foglie di basilico e condite il tutto con olio sale e pepe.

Fate riposare la pasta una mezzoretta in frigorifero così che il condimento si incorpori bene!
Ovviamente servite freddo! :)
Buon Appetito!

lunedì 6 luglio 2015

La Carta di Milano due mesi dopo - Bisogna allora diventare tutti vegetariani? - Racconti di vigna #2

La Carta di Milano due mesi dopo

Mentre il programma di Expo, a due mesi dalla sua apertura, si fa ogni giorno più articolato, è ora di tornare a ragionare sugli aspetti più politici di questo evento.
La Carta di Milano, nata grazie ad un sistema inclusivo di confronto sui tanti temi, con il coinvolgimento di centinaia di attori della comunità scientifica, della società civile e delle istituzioni, deve diventare un’agenda politica.
Viviamo in un’epoca che non ha fiducia nelle parole ufficiali di documenti, trattati, dichiarazioni. Invece i documenti ufficiali sono importanti, perché sono le basi su cui costruire relazioni e perseguire obiettivi. Se non vengono presi sul serio diventano foglie di fico, citazioni ad effetto la cui sostanza nessuno verifica.
Oggi abbiamo una Carta di Milano aperta, che può essere migliorata.  È il titolo dell’Expo di Milano 2015, perché “nutrire il pianeta” creando al tempo stesso “energia per la vita” significa questo: trovare una via sostenibile alla produzione di cibo per tutti i viventi.
Il 7 febbraio i lavori degli oltre 50 tavoli tematici aperti per costruire i contenuti della carta, si sono aperti con un messaggio del Santo Padre che ha chiarito che occorre una critica senza sconti ad un sistema orientato esclusivamente al profitto e che su quell’altare sacrifica anche l’etica di una politica che dovrebbe concentrarsi su un unico obiettivo, il bene comune.
Quindi, se vogliamo iniziare l’elenco di quel che bisogna integrare nella Carta di Milano, al primo posto c’è questo: manca una critica serena e ragionata al sistema del libero mercato che, come efficacemente suggerito da Latouche, è un sistema di libere volpi in liberi pollai.
Il 2015 non è solo l’anno dell’Expo. E’ anche l’anno di questa enciclica, nella quale si legge (198): “La politica e l’economia tendono a incolparsi reciprocamente per quanto riguarda la povertà ed il degrado ambientale. Ma quello che ci si attende è che riconoscano i propri errori e trovino forme di interazione orientate al bene comune”.
Proseguendo l’elenco delle principali tematiche assenti, arriviamo ai semi: non c’è cibo, non c’è agricoltura, non c’è possibilità di sopravvivenza senza i semi. Il sistema economico di cui sopra ha permesso che l’elemento di base della sopravvivenza del pianeta diventasse oggetto di mercato e non ha trovato la strada, che andava cercata prima nelle coscienze, poi nei cervelli, quindi nelle leggi, per proteggere un ambito che da sempre l’agricoltura familiare ha considerato non solo essenziale, ma anche inviolabile e sotto la tutela di un’idea di condivisione che ha attraversato i millenni. Una Carta che nasce da Expo non può non dire nulla sui semi, non può non porre il tema delle sementi – la loro protezione, il loro ruolo ecologico, i sistemi in base ai quali vengono prodotti, scambiati, distribuiti, moltiplicati… – al centro di un discorso sul futuro del cibo.
E lo stesso respiro etico e normativo andrebbe dedicato al tema dell’acqua, che certo (a differenza dei semi) viene almeno citata più volte nel testo della Carta, ma di cui non si dichiara mai in modo esplicito l’appartenenza al reame delle proprietà collettive e dunque (ancora) la sua totale incompatibilità con il sistema del libero mercato.
Molto pensiero si sta dedicando in questi giorni alla Carta, molte organizzazioni, stanno presentando al Ministro Martina e al Primo Ministro Renzi le loro osservazioni, e bisogna che questa energia si concretizzi in azioni di miglioramento e revisione di quel testo, oltre che in provvedimenti concreti che – almeno a livello nazionale – possono far sì che le parole che diciamo definiscano le azioni che faremo.
Per questo mi preme sollevare un’ulteriore questione: chi parla in questa Carta? Perché i lavori promossi e coordinati dal Governo sfociano in una carta che si apre con “Noi, cittadini e cittadine di questo pianeta”? Non sarebbe più opportuno, efficace, promettente, che quella carta fosse il messaggio del Governo che ospita Expo ai Governi del resto del mondo? La Carta di Milano deve essere anche e soprattutto un impegno dei Paesi, delle Istituzioni: perché i privati cittadini si possono impegnare su tutto, e se tanti di loro non lo avessero fatto, saremmo già andati a rotoli da un pezzo. Ma un impegno preso da un Governo è un impegno sul quale i cittadini possono chiedere conto. L’epoca dei buoni propositi e dei comportamenti virtuosi ma individuali deve evolversi in un’epoca di impegni cogenti e di interventi strutturali.


Bisogna allora diventare tutti vegetariani?
C’è una città che già da tempo adotta una politica vegetariana. Si tratta della fiamminga Gent. La città ha elaborato una sua strategia sul cibo, improntata sulla filiera corta e un ridotto impatto ambientale, e promuove simbolicamente il “giovedì vegetariano”: tutti i cittadini sono invitati a mangiare vegetariano a casa, nelle mense, al ristorante almeno una volta alla settimana. Dopo Gent, altre otto cittadine belghe, 20 aziende e numerose scuole hanno partecipano all’iniziativa.
Fa tutta questa differenza rinunciare alla carne una volta alla settimana? Assolutamente sì. Si contribuisce a conservare le esigue risorse naturali, si riduce la perdita della biodiversità, la deforestazione e si aumenta il diritto al cibo per tutti. Per fare un esempio: negli allevamenti intensivi i manzi si nutrono di legumi come la soia, coltivati perlopiù in appezzamenti deforestati dell’America Latina, stipati in stalle in numeri talmente elevati che il letame da risorsa per fertilizzare il terreno diventa un fattore inquinante, contaminato per di più dagli antibiotici somministrati preventivamente agli animali. Non solo: la coltivazione intensiva di cereali in monocolture si basa sull’uso intensivo di fertilizzanti chimici e pesticidi, che rendono il suolo sterile per le prossime generazioni, senza parlare dell’impatto sulla moria delle api. Tutto questo per abbuffarci di filetti di manzo o petti di pollo, riducendo a spreco i tagli meno nobili della carne.
Bisogna allora diventare tutti vegetariani? Non per forza. Ci sono allevamenti che rispettano l’ambiente, nutrono il suolo, valorizzano la biodiversità vegetale e animale, rispettano gli animali. Si pensi alla vacca grigio alpina allevata da secoli in alta quota o al suino nero dei Nebrodi allo stato brado in 50 mila ettari di faggi e querce. Certo, stiamo parlando di allevamenti che da soli non sarebbero in grado di permetterci di mangiare carne tutti i giorni della settimana. Per l’appunto.


Racconti di vigna #2
Per il secondo mese di aperitivi slow food al @CB2015 sugli spalti San Michele abbiamo l'appuntamento fisso per il giovedì! 
Potrete degustare con noi fantastici prodotti del territorio bergamasco in una cornice unica come Città Alta che ci dona un panorama che pochi altri luoghi possono offrire.

Giovedì 9 luglio 2015 parliamo di VINO!

La degustazione comprende:
-9 vini bergamaschi
-focaccia bianca

Il tutto a € 8 a persona

Vi aspettiamo giovedì alle ore 20.00!!!

Per maggiori informazioni e prenotazioni (consigliate)
slowfoodgiovanevo@gmail.com   fb/https://www.facebook.com/events/1603920876525958/

venerdì 3 luglio 2015

Orticoltori in erba: che semi scegliere?

Orticoltori in erba: che semi scegliere?

Il tuo orto non dovrebbe soltanto offrire un buon raccolto, ma per quanto possibile diventare autosufficiente, producendo anche i semi che utilizzerai nelle stagioni successive.

Le regole per una buona scelta sono:
  • Privilegia i semi tradizionali o vecchi, ossia le varietà derivanti da libera impollinazione che abbiano almeno 50 anni di storia alle spalle. Se possibile, scegli semi di varietà locali già acclimatate nel tuo territorio. Puoi provare a recuperarli tra i tuoi conoscenti perché spesso le varietà più interessanti si sono tramandate di padre in figlio, o rivolgerti a qualche vivaista o a un istituto agrario, un’università o altri centri di ricerca. Da loro sarà possibile ottenere una piccola fornitura di semi per uso privato nel tuo orto. Tra i tanti vantaggi, questi semi ti consentiranno di autoprodurti la semente per l’anno successivo se vorrai provare a far tutto da te, a partire dai frutti che le piante genereranno.
  •  Se invece scegli di coltivare varietà di altri territori, o comparse sulla scena di recente, comunque privilegia i semi di varietà che si sono sviluppate a impollinazione libera, ossia le piante selezionate attraverso l’impollinazione naturale, come accadeva prima dell’avvento delle sementi ibride. Presentano una maggiore variabilità e producono semi che potrai serbare e riseminare l’anno seguente. Anche queste si reperiscono difficilmente in commercio e, di nuovo, dovrai cercarle presso gli agricoltori, i vivaisti, gli istituti agrari...
  •  Privilegia i semi biologici certificati, reperibili online presso i siti specializzati e nei negozi di alimentazione naturale. Privilegia, se puoi, i produttori che hanno solo la linea biologica.
  •  Attento alle sigle! F1 o F2 indicano i semi ibridi prodotti da poche multinazionali e distribuiti da tanti rivenditori. Sono più costosi degli altri, ed è sconsigliato ricavarne semente per l’anno successivo, perché essa non conserva le stesse caratteristiche delle piante madri in termini vegetativi e produttivi. In prima generazione invece garantiscono risultati ottimali in termini di resa, ma è la quantità quello che davvero vuoi a discapito del valore dei prodotti tradizionali?
  •  Leggi bene le informazioni contenute sulla bustina di semi. Potrai sapere come sono stati ottenuti, se sono stati trattati con fungicidi o con altri prodotti chimici, quali sono i pregi della varietà, come coltivarli, qual è l’anno di raccolta e il tempo di scadenza. Il seme fresco ha più capacità germinativa!
  •  Le bustine non raccontano tutto! Se ne hai l’occasione, confrontati con qualche agricoltore della zona per capire quali sono i pregi e i difetti dei semi che vuoi acquistare.
  •  Scegli la varietà e pianta tanti semi diversi. La monotonia è nemica dell’orto, della tavola e della salute, mentre la diversità aiuta anche a produrre in modo più sano.
  •  Conserva i tuoi semi in condizioni ottimali, perché sono organismi sempre attivi, anche nella fase di dormienza: quindi devono essere riparati dalla luce, dagli eccessi di temperatura e dall’umidità. L’ideale è riporli nella carta (sulla quale, per sicurezza, potrai scrivere il nome della varietà) e poi chiuderli in contenitori ermetici, meglio se di latta, o in alternativa di vetro (ma in questo caso presta attenzione alla luce)
I semi e le api
Un orto o un campo ricchi di alberi da frutto, piante ortive e fiori sono anche l’habitat migliore per il prosperare di api, farfalle, calabroni e bombi: più un ambiente è variato e sano più essi sono in grado di svolgere il loro fondamentale compito di impollinazione, garantendo la fertilità del pianeta. Al contrario, i semi commerciali trattati con fertilizzanti e pesticidi stanno mettendo in serio pericolo la sopravvivenza dei cosiddetti insetti pronubi, e in particolare delle api. Tra i prodotti più dannosi e diffusi, vanno citati i neonicotinoidi, utilizzati nella concia dei semi di alcune colture come mais o barbabietola da zucchero per proteggerli dagli attacchi dei parassiti: nel 2013 l’Unione europea ha ufficialmente riconosciuto che questi prodotti hanno effetti nocivi per le api. I prodotti sono stati banditi parzialmente dal mercato per un periodo di due anni, dal 2013 al 2015. Questo tipo di molecole di sintesi sono presenti anche in tanti rimedi che usiamo nelle nostre case, ad esempio per far fronte alle periodiche invasioni di formiche o per difendere le nostre rose dai parassiti. Attenzione dunque a quel che usiamo anche nel nostro orto. Anche i diserbanti e i disseccanti spruzzati ai bordi delle strade o che noi stessi usiamo per “tenere in ordine” i nostri giardini, se utilizzati in modo indiscriminato,non fanno bene né alla terra né agli insetti né a noi!