Non facciamo di tutto l'acol un fascio
Vino = alcolismo
Questa pare essere l’equazione adottata recentemente dai ministri europei della salute. Lunedì 19 aprile, infatti, in Lettonia si è tenuta un’importante riunione dei vari rappresentanti continentali per discutere degli alcolici e della loro etichettatura.
Si è deciso in modo unilaterale di aumentare le accise sugli alcolici, ovvero le imposte di consumo prelevate al produttore, perché in questo momento si considera essenziale la leva fiscale. Anche altri Paesi si sono dichiarati favorevoli a questa linea, che mira a risolvere i problemi legati agli alcolici alzandone forzosamente il prezzo.
Un altro punto che è stato affrontato è l’inserimento dei valori nutrizionali sull'etichetta degli alcolici. La proposta a cui si sta lavorando riguarda la possibilità di evidenziare l’alto contenuto di calorie, ma su questo punto non si è ancora certi della linea da adottare (forse hanno paura di dichiarare che non contengono grassi?).
È evidente che in questo momento la piaga dell’alcolismo è affrontata con la coercizione e la tassazione. La via più costruttiva, quella che passa attraverso l’educazione (in primo luogo quella scolastica), non è vista come praticabile.
Spesso, come nel recente documento del Cnapa (Comitato per le Politiche e le Azioni Nazionali in Materia di Alcol), nemmeno si distingue fra superalcolici, birra o vino: tutto uguale e tutto ugualmente dannoso.
Tra l’altro, se saranno penalizzate le bevande con maggiore contenuto di alcol, il vino rischia grosso, perché per birra e spirits il tasso alcolemico si può abbassare con semplici processi industriali, mentre per il vino questo non è evidentemente possibile. È una piega pericolosa che
rischia di danneggiare anche le produzioni di assoluta eccellenza qualitativa e dunque riguarda da vicino anche l’Italia.
per leggere l'articolo completo: http://www.slowfood.it/non-facciamo-di-tutto-lalcol-un-fascio/
Quale carne vogliamo?
Complice l’Expo, Report ha inaugurato domenica una nuova rubrica dedicata a cibo e alimentazione a cura di Sabrina Giannini. Per essere precisi, la rubrica intitolata «Nutrire il Pianeta» si occupa di sicurezza alimentare, in particolare Gabanelli ci propone:
«Sei approfondimenti sull’etichettatura, o sui falsi slogan del Made in Italy o quello “del cibo italiano migliore”, utilizzati spesso a vantaggio di coloro che invece stanno distruggendo le eccellenze e le tipicità di interi settori agroalimentari. Stiamo parlando degli stessi grandi gruppi dell’agrobusiness ai quali i nostri politici hanno offerto le vetrine dell’Expo solo perché si fregiano del terzo brand più famoso al mondo, quello del Made in Italy appunto. La palla ormai è in mano soltanto a noi consumatori, che scegliendo, possiamo salvare le vere eccellenze e la nostra biodiversità, e originare e alimentare un sistema virtuoso che possa “nutrire il pianeta” nel rispetto anche degli animali e delle risorse. Però dobbiamo sapere ciò che spesso ci viene volutamente e sapientemente occultato».
E sicuro, siamo a primi a spronarvi a conoscere il vostro cibo per fare scelte dettate dalla vostra e non dalle esigenze di mercato. Eppure, come nel caso dei biologico, non sarebbe stato male avere, oltre la denuncia, la proposta.
Ieri si è parlato di carne, di allevamenti intensivi, di come i vitelli vengano dopati per ottenere carni bianche, magre e comunque conformi ai desideri del mercato (e la prima domanda ci viene è: ma come si fa a pensare che la carne di vitello sia bianca?), e di vitelli fatti “rinvenire” con anabolizzanti e altre schifezze, e dei conseguenti ai pericoli per noi consumatori. Il tutto a partire da un’inchiesta aperta dalla magistratura di Cuneo senza la quale «Oggi le carni dopate di migliaia di vitelli sarebbero finiti sulle tavole».
Onore a Report che porta all’attenzione argomenti ostici, e spesso taciuti. E naturalmente non può che non farci piacere che si parli di cibo, allevamenti e sicurezza alimentare.
Vi invitiamo perciò a rivedervi il servizio che trovate a questo link.
Ma non possiamo non aggiungere qualche suggerimento su quale carne scegliere (sempre meglio poca ma buona) e ricordarvi che sta a noi consumatori orientare il mercato.
Non dimenticate i nostri consigli per un consumo di carne consapevole, che sia buona, pulita e giusta. Per mettere a vostra disposizione tutte le informazioni sull’argomento abbiamo una dedicato una bella sezione su slowfood.it e da poco pubblicato on line il sito della nostra campagna Slow Meat.
per l'articolo completo: http://www.slowfood.it/quale-allevamento-vogliamo/
Il 25 aprile non è una festa come le altre!
l’Italia festeggia l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo e dalla guerra; settanta anni sono il tempo di tre generazioni e purtroppo sono ben pochi i testimoni di quei giorni ancora in vita.
Ci restano i filmati repertorio, i documenti, le cerimonie di commemorazione un po’ ingessate nello story- board della “festa nazionale”. Eppure il 25 aprile non è una festa come le altre. Perché, contrariamente ad altre date patriottiche, fissate a imperitura memoria sulle targhe delle principali vie di ogni comune italiano, il giorno della Liberazione è un giorno-simbolo il cui significato profondo è presente ancora, instancabile e cocciuto, in tanti luoghi del nostro Paese.
In montagna, tra le comunità che la vivono ritroviamo ancora vivi e saldamente attuali i valori della Resistenza. È stata allora il luogo della guerra partigiana, riparo e rifugio di migliaia di combattenti, di sfollati dalle città bombardate, di esuli e perseguitati. I contadini della montagna, ma soprattutto le donne dei casali arroccati sui crinali e delle cascine sparse nelle vallate, hanno accolto, sfamato, nascosto, a rischio della propria stessa vita. E in migliaia, in Alpi e in Appennino, la vita l’hanno persa nelle rappresaglie che hanno sterminato gli abitanti e raso al suolo interi borghi; per decenni questi drammatici episodi sono rimasti retaggio e memoria soltanto di coloro che caparbiamente restarono a vivere in quei luoghi. Insieme a molto altro.
È rimasta la consapevolezza che vivere e lavorare in montagna significa difendere la terra, ma anche l’acqua, e l’aria e l’equilibrio tra le creature viventi, perché tutto ciò è bene comune, di chi vive in montagna e di chi sta altrove.
È rimasto il rispetto per la memoria e per le sapienze tramandate con pazienza e utili, allora come ora, a comprendere quando, come e cosa fare a lavoro e nel privato. È rimasto un senso di appartenenza e un’identità territoriale che travalica i confini amministrativi o linguistici, le molteplicità culturali e socio-economiche d’Italia.
La montagna, ora come allora, non si arrende e combatte: con i suoi giovani contadini, i suoi pastori, allevatori e casari, i poeti e gli scrittori, gli apicoltori e le tessitrici, i muratori, gli operatori delle fattorie didattiche, i falegnami e i fabbri, gli scalpellini, i bottegai e i maniscalchi. I maestri e le cuoche delle scuole. I bambini. Sono loro i nostri nuovi Partigiani.