Mozambico, ladri di terra sempre più voraci. Con il benestare del Governo
Aziende da 3000-10.000 ettari, monocolture industriali e
braccianti-salariati al posto di piccoli agricoltori e duat: vecchi
certificati d’uso che non valgono una proprietà. ProSavana
è il più imponente progetto di agro-business nella storia del
Mozambico. Coinvolge 14,5 milioni di ettari, una superficie più estesa
di paesi come Portogallo o Malawi, e dove vivono circa quattro milioni e
mezzo di persone. L’area interessata, nel Nord del Mozambico, tra le
province di Niassa, Nampula e Cabo Delgado, è tra le più fertili
dell’Africa australe. Secondo il progetto, ora all’esame del Consiglio
dei Ministri, i fondi saranno garantiti dal Mozambico e dal Giappone
mentre le tecnologie dal Brasile.
«Pensano a nutrire il mercato internazionale dimenticandosi di quello
interno, mentre nella provincia di Nampula la gente muore di fame»,
denuncia all’agenzia Misna, dopo una “consultazione nazionale” a Maputo
sul progetto di agro-business ProSavana, Clemente Ntauazi, coordinatore
dell’Ong Acção Académica para o Desenvolvimento das Comunidades Rurais
(Adecru.
Stando al Governo mozambicano, l’incontro nella capitale è stata
un’occasione per far conoscere l’iniziativa e ascoltare le richieste di
partiti, società civile, semplici cittadini. Secondo Adecru, invece, si è
trattato dell’ennesimo incontro di propaganda davanti a una platea
addomesticata composta di inviti “ad personam” e preselezioni. «Il
Governo – dice Ntauazi – vuole poter dire agli investitori stranieri che
la legge è stata rispettata, le ‘consultazioni’ si sono tenute e che
ora si può cominciare a fare sul serio».
Secondo Ntauazi, però, sbandierando l’obiettivo della lotta alla fame
la propaganda ufficiale nasconde i problemi decisivi: «ProSavana
allontanerà i contadini dalle loro terre, riassumendoli solo su base
stagionale, mentre in Mozambico serve un modello che consenta agli
agricoltori di produrre per il loro fabbisogno e in aggiunta per il
mercato». Nei nuovi latifondi si dovrebbe puntare su granturco e
fagioli ma soprattutto sulla soia, una scelta che più che alla dieta
nazionale si adatta ai mercati mondiali. Il risultato? «I
contadini – denuncia il coordinatore di Adecru – diventano braccianti
che producono per altri e poi non hanno i soldi per comprarsi da
mangiare».
Una ricetta che andrebbe nella direzione opposta alla lotta per la
sicurezza alimentare in un paese dove l’80% della popolazione vive di
agricoltura. E che viene sostenuta dalle autorità nonostante esperienze
analoghe abbiano dato frutti velenosi. Ntauazi ricorda un progetto di
Agromoz, una società controllata dalla holding portoghese Grupo Amorim e
legata all’ex presidente mozambicano Armando Guebuza: «Ha occupato 3000
ettari e i contadini sono stati costretti ad andarsene altrove,
alimentando conflitti per la terra con le comunità ospitanti». In questo
caso le incertezze del quadro legislativo non hanno aiutato. «In
Mozambico la terra è proprietà dello Stato – sottolinea il coordinatore
di Adecru – ma i contadini hanno diritto all’usufrutto se ci vivono o se
la coltivano da almeno dieci anni; gliela si può togliere purché ci
siano, appunto, ‘consultazioni’».
Fonte: http://www.slowfood.it/mozambico-ladri-di-terra-sempre-piu-voraci-con-il-benestare-del-governo/
Ogm: assolti gli attivisti che misero in sicurezza in campo illegale
Vi ricordate di Giorgio Fidenato e del suo campo di mais Gm a in
Friuli? Era l’estate del 2010 quando la Task Force Per un’Italia libera
da Ogm (di cui Slow Food Italia fa parte) viene a conoscenza di una
semina illegale di MON810 della a Fanna, in provincia di Pordenone.
Denunciamo immediatamente la semina illegale allibiti
per quanto sia facile in Italia farla franca e agire con tanta facilità
creando danni potenziali enormi. Chiediamo l’intervento delle autorità
che, perse tra le scartoffie e le solite trafile, mettono sotto
sequestro il campo ma non lo distruggono, e soprattutto non lo mettono
in sicurezza per evitare la contaminazione. Interviene dunque
Greenpeace: preleva e analizza alcuni campioni di mais, scopre l’esatta
posizione dei campi, isola e mette in sicurezza la parte superiore delle
piante che già disperdevano il polline geneticamente modificato. Che
cosa si doveva fare d’altronde? Al giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Pordenone però la mossa non è piaciuta e nel gennaio
del 2012 emette un decreto penale di condanna nei confronti di 23
attivisti per oltre 86 mila euro. Inizia il processo che si è concluso
ieri con la piena assoluzione degli attivisti. Urrà.
«Anche il tribunale riconosce come legittimo un intervento che era
assolutamente necessario. Non possiamo che essere più che contenti di
questa sentenza: rende ancor più evidente quanto puntare su Ogm e
agricoltura intensiva sia anacronistico oltre che fallimentare» commenta Cinzia Scaffidi, vice presidente di Slow Food Italia:
«Il pianeta si nutre a partire dalla straordinaria biodiversità che ci
mette a disposizione e solo chi si prende cura della terra riesce a
tutelare e far fruttare. Che cosa aspettiamo a prenderne atto e
concentrare sforzi e investimenti su un tipo di produzione che rispetti
chi produce, ambienti, ecosistemi la nostra salute?»
P.S.
Anche Papa Francesco è d’accordo con noi, ecco che cosa scrive nell’Enciclica promulgata ieri: «L’estendersi di queste coltivazioni distrugge la complessa trama degli ecosistemi, diminuisce la diversità nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economie regionali. In diversi Paesi si riscontra una tendenza allo sviluppo di oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la coltivazione»
Anche Papa Francesco è d’accordo con noi, ecco che cosa scrive nell’Enciclica promulgata ieri: «L’estendersi di queste coltivazioni distrugge la complessa trama degli ecosistemi, diminuisce la diversità nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economie regionali. In diversi Paesi si riscontra una tendenza allo sviluppo di oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la coltivazione»
I cuochi internazionali del Made in Italy sfilano ad Expo
Lunedì 29 giugno, in occasione dell’Italian Cuisine in the World Forum che si terrà dal 28 giugno al 1 luglio, 150 cuochi, ristoratori e distributori di prodotti dell’enogastronomia italiana provenienti da oltre 70 paesi saranno protagonisti di una giornata che inizierà a Cascina Triulza e si chiuderà nello Slow Food Teather.
In quest’occasione, il Decumano di Expo si trasformerà in un tappeto rosso, sul quale sfileranno cuochi ambasciatori del made in Italy,
riuniti per dibattere i temi legati alla ristorazione italiana
all’estero, le problematiche attuali e le sfide che incontra la
produzione agroalimentare di eccellenza italiana, i successi e il futuro
della cucina italiana nel mondo.
La
“linea di traguardo” di questa marcia d’eccezione sarà proprio il
padiglione di Slow Food a Expo, in un incontro in cui presenzierà anche
il Ministro delle politiche agricole, ambientali e forestali, Maurizio Martina. [...]
Il Forum, già alla sua quinta edizione, è un’iniziativa promossa da itchefs-GVCI,
un network che ha lo scopo di salvaguardare e promuovere
l’enogastronomia e l’agroalimentare italiani nel mondo, promuovere le
figure professionali del settore e contrastare le conseguenze dell’Italian sounding (l’utilizzo
di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia
per promozionare e commercializzare prodotti affatto riconducibili al
nostro paese) che, per questo evento, si avvale del sostegno di Lorenzo De Medici – The Italian International Institute e della Scuola nel Mercato Centrale (San Lorenzo)
di Firenze. L’itchefs-GVCI conta oggi oltre 2500 professionisti della
ristorazione italiana nel mondo, numero che ben esemplifica l’importanza
del made in Italy all’estero, un settore che conta circa
100.000 ristoranti italiani nel mondo, autentici ambasciatori della
cucina italiana, che servono ogni giorno milioni di clienti attratti
dalla proposta enogastronomica nostrana, autentica e di qualità.
La
sfilata dei cuochi a Expo non è che l’inizio. Da Milano, infatti,
partiranno tre camper per una spedizione culinaria senza precedenti: Road to Dubai – The Italian Tasty way,
che porterà un gruppo di cuochi, giornalisti e clienti di ristoranti
della grande metropoli degli Emirati in giro per l’Italia, alla ricerca
dei migliori ingredienti e cuochi per l’Italian Cuisine World Summit 2015.
La conclusione dell’evento, mercoledì 1 luglio, sarà a Firenze, dove
saranno trattati temi legati alla ristorazione italiana di qualità nel
mondo, alla formazione delle figure professionali che vi lavorano e al
riconoscimento della cucina italiana da parte dell’Unesco, come
patrimonio dell’umanità. Verrà inoltre presentato ufficialmente il
programma “Firenze (Toscana) Capitale della Cucina Italiana nel Mondo”,
che punta a organizzare nel corso dei prossimi anni eventi che celebrino
o approfondiscano la conoscenza dei mercati, della storia, dei
personaggi e dei trend dell’enogastronomia italiana fuori dall’Italia.
Un evento articolato, che Slow Food sostiene perché da sempre
riconosce l’importanza del ruolo che tutti gli attori della filiera
alimentare hanno, dai contadini ai consumatori, passando, naturalmente,
anche per i cuochi, che meglio di chiunque altro sanno valorizzare i
prodotti di qualità. Al fine di incentivare il legame tra chef e
prodotti dei Presìdi e dell’Arca del Gusto, degli ortaggi, dei frutti e
dei formaggi prodotti localmente, Slow Food ha creato l’Alleanza Slow Food dei cuochi,
che conta oggi oltre 400 professionisti che lavorano in osterie,
ristoranti, bistrot e cucine di strada in Albania, Italia, Olanda,
Marocco e Messico.
Per saperne di più sull'alleanza Slow Food dei cuochi http://www.fondazioneslowfood.com/it/cosa-facciamo/alleanza-slow-food-dei-cuochi/