lunedì 13 aprile 2015

Non mangiamo il pescato degli schiavi - Tracciabilità: nuove garanzie per i consumatori - I 3 trucchi fondamentali per comprare un vino al supermercato




Non mangiamo il pescato degli schiavi



In questi giorni non si legge giornale e non si ascolta un gazzettino che non riporti brutte, anzi orripilanti notizie. A casa nostra, mentre stiamo tutti con l’acqua alla gola a barcamenaci per riuscire a mangiare tutti i mesi, sembra che non si possa spostare un fuscello senza dover pagare un extra a qualche losco amministratore. E se guardiamo oltre il mare la situazione peggiora: c’è poco da aggiungere sulla disperazione dei profughi palestinesi del campo di Yarmuk, alle porte di Damasco. Siamo tutti con il fiato sospeso ad augurarci che trovino scampo, sollievo, libertà. Ce n’è abbastanza per rigettare altre informazioni, e ci rendiamo conto che questi avvenimenti siano stimoli più che sufficienti la vostra sensibilità. Ma ci teniamo a portare alla vostra attenzione un fatto venuto alla luce qualche giorno fa, perché ci riguarda da vicino da anche se successo in un altro continente. Ci riferiamo alla tratta di pescatori ridotti in schiavitù scoperta in Indonesia. 

Siamo tutti complici: noi per primi, con le nostre scelte d’acquisto fomentiamo queste pratiche barbare e illegali. E quindi sì, ci riguarda. Tutti quanti.


A far venire fuori questa triste storia è stata l’Associated Press con un’inchiesta, pubblicata a fine marzo e realizzata da Margie Mason e Martha Mendoza con la collaborazione di Esther Htusan. Le giornaliste hanno fotografato le condizioni dei pescatori stranieri di Benjina, un paese su un’isola dell’arcipelago di Aru, dove centinaia di pescatori, in gran parte provenienti dalla Birmania, erano costretti a lavorare sotto le angherie di un vigilante con turni di lavoro tra le 20 e le 22 ore alternati da calci, pugni e frustrate, senza giorni di pausa, con poco cibo e acqua sporca. Vi è passato l’appetito? Sicuri di voler ancora quei gamberetti di dubbia provenienza che vi strizzano l’occhio dal mega freezer del supermercato?

Se ancora state pensando di ordinare al take away sotto casa gamberetti alla piastra di cui non conoscete la provenienza, aggiungo che non ci sono statistiche sulla mortalità degli schiavi a bordo dei pescherecci, ma dai racconti dei sopravvissuti si capisce che deve essere piuttosto alta. Un esempio? Otto uomini considerati a rischio di fuga sono stati rinchiusi in una gabbia di ferro dove la loro alimentazione consisteva in un pugno di riso e curry al giorno. Con il tempo, gli agenti che si occupano di trovare i marinai da inviare sulle imbarcazioni, sono divenuti sempre più spietati e hanno iniziato ad arruolare anche bambini e disabili, a mentire sugli stipendi e persino a drogare e rapire gli immigrati che arrivano in Indonesia dai paesi più poveri dell’Asia. Il prezzo di uno schiavo è di circa mille euro e una volta reclutati gli schiavi sono obbligati a ripagarlo ai capitani con il loro lavoro, un’impresa spesso impossibile visto che in genere gli stipendi arrivano in ritardo o non arrivano affatto.

I pescatori coinvolti sarebbero circa 4000 e arrivano da Cambogia, Laos, Myanmar e a Thailandia. Più di 350 pescatori, per lo più da Myanmar, sono stati trasferiti nel fine settimana dall’isola Benjina al largo della costa della provincia di West Papua, per la loro sicurezza: «Il rischio era che potessero subire gravi reazioni dopo raccontato la loro condizione» ha dichiarato ai giornalisti il Ministro indonesiano della Pesca Mas Achmad Santosa: «Provvederemo al loro rientro in patria». Misna ci informa che il Governo indonesiano ha annunciato che formerà una squadra speciale per avviare le indagini. L’impresa sotto accusa è la Pusaka Benjina Resource, l’unica società di pesca autorizzata dal Governo indonesiano. Dall’inchiesta di Ap ( notizia confermata da fonti ministeriali) è emerso che in molti casi la società è soltanto una copertura e spesso i capitani delle imbarcazioni sono thailandesi.

Insomma, forse siamo pedanti, ma nel caso del pesce più che per altri alimenti è opportuno scegliere pesce locale (è importante anche per l’ambiente), conoscere i pescatori e se si è lontani dal mare rivolgersi a un pescivendolo di fiducia. E sinceramente, anche se a poco prezzo, quei gamberetti asiatici ci sono proprio indigesti. Sicuri che non se ne possa fare a meno?

Per parlare di pesce buono, pulito e giusto vi diamo appuntamento Genova dove dal 14 al 17 maggio c’è Slow Fish. Venite, ne scoprirete davvero di buone e di belle.

Foto: AP Photo/Dita Alangkara
Fonte: http://www.slowfood.it/non-mangiamo-il-pescato-degli-schiavi/

Tracciabilità: nuove garanzie per i consumatori



Rivoluzione nella tracciabilità di maiale, agnello e capretto dopo gli scandali della carne di maiale tedesca alla diossina venduta in tutta Europa e degli agnelli ungheresi spacciati per italiani: dal primo aprile entra in vigore anche nel nostro paese il nuovo regolamento che impone l’indicazione di origine o di provenienza delle carni fresche, refrigerate o congelate di suini, ovini, caprini e volatili. Scegliendo la carne con la scritta “origine Italia” potremo dunque essere certi che tutte le fasi della lavorazione, dalla nascita all’allevamento fino alla macellazione si siano svolte sul territorio nazionale. Finalmente si concretizza un percorso iniziato 15 anni fa con l’obbligo di etichettatura di origine per la carne bovina fresca introdotta sotto la spinta dell’emergenza “mucca pazza” che impose l’obbligo di indicare, oltre al luogo di macellazione e allevamento, anche quello di nascita. Dalla nuova norma restano però escluse la carne di cavallo, quella di coniglio, molto diffusa in Italia, e la carne di maiale trasformata in salumi. Un dato che non ci rassicura considerato che due prosciutti su tre sono fatti da maiali stranieri all’insaputa del consumatore.

Siamo certamente contenti di questo provvedimento che per noi rappresenta un primo passo verso una maggiore informazione per il consumatore che dovrebbe avere a disposizione tutti gli strumenti per fare le sue scelte. Ben venga la segnalazione della provenienza, certo, ma che dire dei metodi produttivi? Ecco perché proponiamo l’etichetta narrante con informazioni precise sui produttori, sulle loro aziende, sulle varietà vegetali o le razze animali impiegate, sulle tecniche di coltivazione, allevamento e lavorazione, sul benessere animale, sui territori di provenienza… Per giudicare la qualità di un prodotto, infatti, non bastano analisi chimiche o fisiche e non è sufficiente neppure la degustazione. Qualunque approccio tecnico non tiene conto di ciò che sta alle spalle di un prodotto – l’origine, la storia, la tecnica di trasformazione – e non consente al consumatore di capire se un cibo è prodotto nel rispetto dell’ambiente e della giustizia sociale. Inoltre, la comunicazione che accompagna i prodotti spesso è mistificante: fa riferimento a mondi contadini colmi di poesia, presunte tecniche tradizionali, vaghi richiami a sapori antichi. Elementi evocativi in realtà lontanissimi dalle effettive qualità dei prodotti pubblicizzati. Lo testimoniano gli elenchi di additivi e ingredienti di natura ignota ai più riportati sulle etichette dei prodotti che riponiamo nei nostri carrelli della spesa, lontani anni luce dalle immagini e dagli slogan della pubblicità.


I 3 trucchi fondamentali per comprare un vino al supermercato


Breve premessa: il vino non andrebbe acquistato al supermercato, perché la scelta sugli scaffali pare fintamente ampia e poi perlopiù vengono propinati vini industriali la cui unica qualità è quella di presentare un prezzo basso e forse un packaging carino. Se potete andate alla fonte: comprate le bottiglie dai produttori, dai vignaioli, conosceteli, visitateli e poi portatevi a casa le etichette che più vi hanno convinto… Se questo è impossibile, perché avete un’urgenza e siete rimasti a bocca asciutta, vi consigliamo di cercare un’enoteca, fatevi amico il gestore e andateci spesso, magari raccontando i vostri gusti e facendogli capire cosa amate. Ecco, se entrambe le ipotesi non sono percorribili, per le ragioni che potete sapere solo voi, allora non vi resta che entrare in un supermercato…



Ora veniamo a voi e al vostro momento di difficoltà. Vi trovate davanti a uno scaffale di 50 metri di lunghezza e il vostro vignaiolo del cuore qui proprio non c’é. Strano… prima di darvi ai succhi di frutta (anche quelli nella gdo non sono proprio una mano santa…) fate un bel respiro e provate a seguire queste regolate semplici semplici:

1) Il prezzo. Non comprate un vino che costi meno di 5 euro sullo scaffale. È praticamente impossibile che una bottiglia da 0,75 litri possa essere pagata di meno ed essere anche buona, o comunque realizzata con minimi standard di qualità. Fate un calcolo: sotto l’euro al chilo (che poi è la quantità utile per realizzare una bottiglia) è complicato acquistare delle uve coltivate con criteri minimali di cura agronomica. Metteteci almeno un altro euro per coprire i costi di produzione (cantina, macchinari, luce, manodopera, ecc…); 50 centesimi per vetro, etichetta, tappo. Siamo arrivati a 2,5 €. Un po’ di margine per il commerciante/produttore non vogliamo calcolarlo???? Infine ricarico della gdo, e l’Iva che conta un bel po’… 22%. Insomma, sotto i 5 euro allo scaffale comprerete un vino che in una delle fasi di cui si è parlato sopra è andato decisamente al risparmio. Indovinate quale sarà? Secondo noi sicuramente l’acquisto dell’uva, o molto più probabilmente del vino già fatto. Come è possibile? Semplice si sfrutta il lavoro dei contadini, del vignaiolo o purtroppo la sua disperazione: si passa un mese prima della vendemmia quando deve liberare le vasche per il nuovo mosto e gli si dice: “vogliamo farti un piacere, ti svuotiamo la cantina, il prezzo però lo facciamo noi…”

2) Imbottigliato all’origine da, Prodotto e imbottigliato da, imbottigliato all’origine dalla cantina sociale. Tutte queste espressioni possono essere completate dalla dicitura “integralmente prodotto”, a condizione che il vino sia ottenuto da uve raccolte esclusivamente in vigneti di pertinenza dell’azienda e vinificate nella stessa.. Lo sappiamo, questa è una regolata un po’ noiosa, perché obbliga a guardare solitamente la controetichetta. Però è molto utile perché ci dice se quel vino è frutto di una filiera controllata da una sola azienda. Uve, vino e imbottigliamento sono in mano a un’unica cantina. Non sono state vendute a terzi che poi le hanno trasformate. Di che tipo di garanzia stiamo parlando? Il vino probabilmente sarà un po’ più buono perché chi si è coltivato le uve, se le è vinificate e poi ci mette la faccia con tanto di nome e cognome di solito non vuole fare figuracce troppo grandi. Attenzione alle sigle incomprensibili. Noi non sceglieremo mai un vino che abbia questa dizione: imbottigliato da ICQRF con il codice che segue, che è quello del registro carico e scarico attribuito dall’Ispettorato Centrale Qualità e Repressione Frodi e deve essere accompagnato (prima o dopo il codice non fa differenza) da un riferimento allo Stato di appartenenza (IT oppure ITALIA). Di solito dietro questa sigla ci sono i grandi commercianti imbottigliatori che realizzano numeri immensi di bottiglie miscelando partite differenti. In questo caso la qualità è molto difficile da scovare…

3) Fare affidamento su Doc e Docg (Dop), in misura minore sulle Igt (Igp), scartare i vini senza una di queste tre categorie. Questo terzo trucco seguitelo solo nella gdo perché fuori potrebbe farvi commettere degli errori… Sullo scaffale di un supermarket è una garanzia ulteriore che ci viene data. Sappiamo almeno da dove arrivano le uve e solitamente per le denominazioni di origine il valore delle stesse è leggermente più alto. In questo caso però fate attenzione che il vino sia stato imbottigliato nella zona della Doc e Docg, perché esistono purtroppo delle eccezioni. Un esempio su tutti: la Doc Sicilia dà la facoltà di imbottigliamento anche fuori regione. Se vedete che la bottiglia di Nero d’Avola davanti a voi, con confezione tanto bellina, porta come provincia di imbottigliamento Verona, Cuneo, Asti, ecc… riponetela delicatamente sullo scaffale e scappate a gambe levate…. Sulle Igt un 15% del contenuto della bottiglia può essere fatto con vino acquistato da fuori regione, non proprio un segnale di grande cura e tracciabilità…


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